Andronico di Rodi aveva rimesso in circolazione, nel I secolo a.C., i testi di Aristotele, di cui non vi era stata traccia per tutto l’ellenismo, cosicché anche coloro che si rifacevano ad Aristotele non ne conoscevano i realmente gli scritti.
La pratica delle scuole andava sempre di più articolandosi nello studio delle filosofie passate, soprattutto nel commento di testi e Alessandro di Afrodisia fu il commentatore di Aristotele per eccellenza. Di Alessandro di Afrodisia è importante l’interpretazione dell’intelletto produttivo a cui Aristotele si riferisce nel De anima. Aristotele afferma che tutte le cose in natura hanno una materia propria, la quale è in potenza tutte le cose fatte di quella materia, ad esempio il marmo è in potenza tutti gli oggetti di marmo, ed accanto a questa causa materiale ve n’è una che Aristotele definisce produttiva o efficiente. Applichiamo per analogia quanto appena detto all’intelletto, la materia è la potenza, esiste quindi un intelletto in potenza che ha la possibilità di cogliere tutte le cose, ma deve esistere anche un qualcosa che gli permette di coglierle, come la luce fa passare all’atto i colori in potenza deve esistere un intelletto che consenta all’intelletto in potenza di divenire intelletto in atto. Riguardo a questo intelletto Aristotele afferma che è l’unico intelletto separato dal corpo, l’unico immortale, questo intelletto è “atto per essenza”, così Alessandro di Afrodisia lo identifica con l’intelletto divino, anche se un’altra interpretazione possibile è quella che questo intelletto sia l’intelletto della specie umana, in analogia col concetto aristotelico secondo cui soltanto le specie, di conseguenza le loro caratteristiche, sono immortali, mentre i singoli no.