Epitteto fu espulso da Roma e si ritirò a Nocimedia, dove aprì una scuola filosofica. Anche lui aveva studiato in una scuola filosofica, al tempo l’accesso alle scuole filosofiche era più facile per chi come lui era schiavo di una famiglia ricca piuttosto che per i cittadini poveri costretti a lavorare per sopravvivere.
Anche Epitteto parte dalla dicotomia già evidenziata da Seneca tra la sfera delle cose che dipendono da noi e la sfera delle cose che non dipendono da noi, ed è nella prima sfera che va cercata la libertà, ma non nell’uso delle cose, bensì nell’uso delle rappresentazioni delle cose. Tutti gli uomini hanno la nozione che il bene è utile, solo che a volte ci si sbaglia nel decretare se una determinata cosa è bene o no ed è in questo giudizio, che, riprendendo un termine aristotelico, egli chiama proairesis (scelta preliminare), che consiste la libertà. L’uomo così si ritaglia un piccolo orizzonte all’interno del quale tutto dipende da lui, all’interno del quale la morte non è terribile in se, altrimenti l’avrebbe temuta anche Socrate, ma è il giudizio che si ha sulla morte che la rende terribile ai più.
Così anche per lui viene a cadere la differenza della libertà sul piano giuridico, infatti tutti gli uomini possono esprimere la loro libertà allo stesso modo all’interno degli stessi orizzonti, tutto il resto non dipende da loro. Si tratta quindi di recitare ognuno la parte che la sorte ci ha assegnato: Epitteto dirà che per vivere sereni non bisogna cercare di far andare le cose per come si desidera, ma desiderare che esse vadano per come stanno realmente andando.
Il modello di uomo, secondo Epitteto, consegnato agli uomini dalla divinità è Diogene di Sinope, il vero cinico, libero di fronte al tiranno che non ha nulla a che fare con i nuovi cinici che si identificano fra di loro per alcune caratteristiche esteriori come la barba, il bastone e la bisaccia.