Marco Aurelio

Dopo la morte di Epitteto, lo stoicismo trovò un ultimo degno rappresentante in Marco Aurelio. Il fatto che Epitteto fosse uno schiavo e Marco Eurelio un imperatore ci conferma il fatto che per gli stoici poca importanza avevano le condizioni materiali.
Di lui ci è arrivata una raccolta di pensieri scritti a se stesso intitolata appunto “A se stesso”.
Per un imperatore, il confine tra quello che dipende da lui e quello che non dipende da lui è ovviamente minore rispetto a quello che poteva essere per uno schiavo. Da Eraclito egli prende l’immagine del mondo come di un eterno fluire, l’arroganza umana nasce dalla presunzione di essere immortali. Marco Aurelio si discosta parecchio dall’io ipertrofico della concezione stoica, contrapponendo ad esso il suo io infinitamente piccolo, egli infatti afferma che la sostanza che c’è in ognuno di noi è nulla in confronto alla totalità, allo stesso modo ci è stata concessa una minima parte di tempo se confrontata all’eternità, quindi ognuno di noi non ha alcun valore particolare.
Egli sottolinea sempre la solitudine che l’imperatore avverte a corte, egli sa benissimo di non poter trovare nella corte amicizia ma soltanto dissimulazione, egli sa che per via della posizione che gli è toccata i più tenderanno con lui ad essere ipocriti e che anche alla sua morte ci sarà chi gioirà del triste evento. L’altro diventa per l’imperatore non qualcuno da combattere, ma da sopportare.

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